Sostenibilità - Gennaio 2021
Sostenibilità è una delle parole più citate sulla stampa e nelle trasmissioni televisive, anche grazie al Next Generation EU che la vede tra i driver principali. E’ una bella parola. Un termine affascinante. Chiama in causa ciò che si può fare in quanto sostenibile, cioè replicabile nel tempo. E’ una parola che raccoglie in sé il senso del limite, dell’abbastanza, l’azione che non distrugge, usa e ricostituisce.
Tecnicamente, quindi, si può dire che la sostenibilità sia la qualità di ciò che è sostenibile e che in tal senso può essere replicato nel tempo ad un certo livello. Questo in termini generali, da tutti i punti di vista.
Se si desidera, invece, calare lo sguardo sull’azione dell’impresa, la sostenibilità si manifesta attraverso scelte capaci di ricostituire le risorse impiegate nei processi, certo quelle di natura economica, ma anche quelle di natura ambientale e sociale.
Il termine si è diffuso nel lessico economico-sociale a partire dal 1987 quando la Commissione Brundtland della Nazioni Unite pubblicò il rapporto “Our Common Future” che introdusse il concetto di sviluppo sostenibile, precisando che tale è “lo sviluppo che soddisfa i bisogni della generazione attuale senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri”.
Per certi aspetti si potrebbe dire che il concetto di sostenibilità sia ispirato ad un antico detto dei pellerossa nativi americani che ricordava come: ”non abbiamo ricevuto il mondo in eredità dai nostri padri, ma preso in prestito dai nostri figli” e che accoglie in sé il rispetto delle persone che daranno corpo alle generazioni future, nei riguardi delle quali il dovere delle generazioni attuali consiste nell’assicurare a loro il mantenimento di risorse sufficienti a soddisfare i propri bisogni.
Singolare che la modernità sia arrivata a queste conclusioni solo verso la fine del secolo scorso, quasi fosse affetta da una pesante miopia economico-sociale che non consentiva di vedere al di là dell’immediato.
In realtà, da una parte questo comportamento è scaturito da una sorta di incoscienza ambientale generata dall’entusiasmo e dall’ euforia da consumo innescati dalla liberazione da bisogni millenari a seguito dei processi di sviluppo. Dall’altra, da una ritardata diffusione nella società della consapevolezza dei limiti delle risorse naturali e della necessità di porre rimedio al deterioramento dell’ambiente, quale si era venuto accelerando a partire dalla rivoluzione industriale del diciannovesimo secolo.
Oggi le scelte sostenibili volte alla tutela dell’ambiente e alla riduzione degli sprechi sono parte delle politiche pubbliche, del comportamento delle persone e delle decisioni aziendali – certamente dal punto di vista della comunicazione, non sempre da quello dell’azione.
In particolare, sotto il profilo aziendale, tutto questo trova un puntuale riferimento nel passaggio da un approccio che privilegiava la massimizzazione dei profitti per gli azionisti (shareholder approach) ad un approccio fondato sulla soddisfazione degli interessi di tutti coloro che hanno relazioni più o meno dirette con l’impresa (stakeholder approach).
Di chi si parla? Delle persone che lavorano in azienda qualunque ruolo svolgano, imprenditoriale, manageriale o operativo. Di tutti coloro che partecipano alle rete dell’impresa, dai finanziatori, in termini di capitale di rischio e credito, ai fornitori di beni e servizi. Dei clienti che costituiscono il mercato dell’impresa. Ma anche della comunità e dei territori nel cui ambito l’azienda dipana la propria attività. Come pure delle generazioni future con le loro istanze a difesa delle risorse naturali quali componenti centrali della loro possibilità di decidere la qualità della vita che desidereranno vivere. Generazioni che danno così voce ad un soggetto impersonale, l’ambiente, la cui presenza nel discorso pubblico è altrimenti limitata alle occasioni – sempre più frequenti invero – in cui purtroppo si verificano eventi catastrofici.
Per inoltrarsi in questo orientamento l’impresa dovrebbe interiorizzare il “valore” della “cura”, cura delle persone, cura delle relazioni, cura del senso di ciò che si fa, cura dell’ambiente.
Ecco, così, che in questo contesto, che apre alla responsabilità sociale dell’azienda, prendono forma le tre dimensioni della sostenibilità cui l’impresa è chiamata a dare risposte: la sostenibilità economica, la sostenibilità ambientale e la sostenibilità sociale.
La prima scaturisce dalla capacità di produrre un valore sufficiente a compensare tutti i fattori della produzione assicurando una remunerazione adeguata del rischio aziendale. La seconda deriva dalle scelte di contenimento dell’impronta ecologica dell’impresa attraverso forme di riorganizzazione dei processi in una prospettiva circolare, di risparmio energetico e di rigenerazione delle risorse naturali utilizzate. La terza si manifesta nel riconoscere all’impresa il suo essere parte integrante del corpo sociale della comunità in cui opera e come tale partecipe alla costruzione del progresso attraverso l’offerta di lavoro e la diffusione di benessere.
Ed è dalla capacità di muoversi armonicamente tra queste dimensioni che l’impresa può trovare la legittimazione sociale ad esistere e con essa la vitalità che le può consentire di battere il tempo e incamminarsi sulla via della longevità.