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L’Italia senza made in Italy:

solo un’azienda su tre utilizza il marchio all’estero

 


Non lo facciamo mai, ma per una volta, in questo caldo agosto, ci prendiamo la piccola libertà di trarre ispirazione dalla politica e in particolare da una proposta arrivata proprio qualche giorno fa, il 13 agosto, dalla senatrice Tiraboschi che, in un progetto di legge, ha richiesto la creazione del ministero del Made in Italy. Sembra una banalità, in effetti, ma scavando dietro a questa idea possiamo notare una reale esigenza, a volte utilizzata anche in forme non ortodosse e a vario titolo, ma che di sicuro, oggi, si rende sempre più necessaria per sostenere tutti quei coraggiosi capitani d’impresa che ogni giorno lottano per risollevare se stessi e il Paese dalla crisi degli ultimi anni.

MADE IN ITALY: UN BRAND CHE NON SI ARRENDE

Al momento la situazione non è così grigia, ma secondo osservatori come l’Istat e la Bce, a causa dei dazi previsti e che dallo scorso giugno hanno iniziato a entrare in vigore in tutta Europa, il nostro commercio di import ed export potrebbe subire pesanti ripercussioni che ne minerebbero una stabilità e una ripresa ancora non assimilate completamente. Nel primo semestre 2018 l’istituto nazionale di statistica, infatti, ha stimato una crescita congiunturale per le esportazioni (+4,6%) e un più contenuto aumento per le importazioni (+0,3%). Numeri che indicano sicuramente una iniziale tenuta del Made in Italy di fronte alle chiusure del commercio internazionale, anche se la spirale dei dazi è solo all’inizio e il peggio non può che arrivare con le successive strette agli scambi commerciali. Intanto, però, il sostenuto incremento congiunturale dell’export italiano è da ascrivere prevalentemente alla crescita delle vendite verso i mercati extra Ue (+8,0%), dovuta principalmente ai mezzi di navigazione marittima, mentre quella verso l’area Ue è meno intensa (+2,1%). Su base annua, i paesi che contribuiscono maggiormente all’incremento delle esportazioni sono Svizzera (+55,1%), Stati Uniti (+18,8%), Francia (+10,3%), Germania (+4,1%) e Paesi Bassi (+20,8%), mentre, sotto il profilo dei settori industriali, la crescita tendenziale dell’export è essenzialmente dovuta a metalli di base e prodotti in metallo (+7%), prodotti alimentari, bevande e tabacco (+4,6%), mezzi di trasporto (+11,9%), articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici (+6,5%) e apparecchi elettrici (+4,1%).

 LE AZIENDE CREDONO TROPPO POCO NEL MADE IN ITALY

Nonostante questi valori positivi, però, secondo una recente ricerca prodotta dall’università di Padova – Cmr e commissionata Hsbc, solo un terzo (35%) delle medie e grandi aziende italiane utilizza il marchio “Made in Italy” nelle proprie relazioni internazionali, anche se chi lo impiega riconosce l’elevato valore aggiunto che genera sul proprio business (90%). L’indagine, elaborata tra ottobre e novembre 2017, su un campione di oltre 800 aziende del Belpaese, ha sottolineato infatti come ancora troppo poche realtà tricolore credano nella forza di un marchio che per anni è stato il simbolo della qualità nella produzione manifatturiera a livello globale. Un segno questo del fatto che in Italia si stia perdendo piano, piano quel fattore artigianale che ha sempre contraddistinto la nostra produzione, a tal punto che, oggi, le aziende italiane sono portate a non sfruttare questo asso nella manica, rischiando di perdere in questo modo importanti opportunità.

Secondo i dati emersi dall’analisi, infatti, il marchio “Made in Italy” – sinonimo di alta qualità, creatività e design – è utilizzato principalmente dalle imprese manifatturiere (50%) e dal settore terziario (18%). All’interno dell’industria manifatturiera, le aziende tessili (80%), alimentari (59%) e della lavorazione dei metalli (50%) sono quelle che lo utilizzano maggiormente. Le aziende di grandi dimensioni (39%, oltre 250 dipendenti), quelle con un elevato indice di innovazione (47%) e quelle che hanno la maggiore apertura sui mercati internazionali (39%) hanno più probabilità di sfruttare questo marchio per sostenere i propri prodotti, anche se non sempre lo fanno. Mentre, a livello geografico, le imprese che lo utilizzano maggiormente sono nel nord est (43%), nel centro Italia e nel nord ovest.

 «Il ‘Made in Italy’ è un marchio globale rinomato e conosciuto, con un posizionamento e un’eredità forti, in particolare legati ai tradizionali punti di forza dell’Italia, come manifattura, design e settore alimentare – ha commentato Marco Mariano, head of commercial banking di Hsbc Italia – In un contesto in cui la stragrande maggioranza delle aziende intervistate prevede una crescita del commercio internazionale, l’Italia deve lavorare sui fattori che determinano il vantaggio competitivo. Tuttavia, come dimostrato dalla ricerca, oggigiorno il successo all’estero delle aziende italiane si basa principalmente su fattori strutturali e strategici, come il livello di innovazione e di produttività e non solo sul marchio ‘Made in Italy’».

 Un elemento questo che ci porta a sottolineare come forse la rincorsa di innovativi modelli in stile Silicon Valley, che hanno dominato anche la visione dell’industria italiana negli ultimi anni, abbia fatto perdere di vista alle nostre imprese uno dei maggiori punti di forza che da sempre ha caratterizzato la nostra idea di business, ovvero, la capacità di imprimere una grande creatività e unicità alle nostre produzioni, determinandone in questo modo una qualità che ha saputo portare in auge ogni nostro marchio nel mondo, dal settore automobilistico a quello della moda, dall’alimentare al designa e al manifatturiero. Un elemento distintivo, questo, che, se sfruttato a dovere, di sicuro permetterà ai campioni italiani di tornare a imporsi sui mercati internazionali e a essere estremamente competitivi in ogni ambito.

(di Matteo Castelnuovo, www.bimag.it, 16 agosto 2018)